Vigilia

Vigilia di coppa

Siamo alla vigilia della finale di Conference League e la mente non può che tornare a 33 anni fa. Eh si, io ad Avellino c’ero, appena diciottenne, con il pulmino da nove. Andare ad Avellino fu un atto di fede, perché dopo l’1-3 di Torino, solo la fede poteva farci concepire di avere la possibilità di ribaltare il risultato. Giocammo contro tutto lo stadio, con l’affare Baggio ormai concluso e con i Pontello in dismissione. Fu quasi una lotta contro i mulini a vento.

Era un calcio diverso, un calcio dove ancora comandavano le società e non i giocatori. I procuratori esistevano già. Eravamo una squadra tutta difesa, contropiede e tanto cuore, tolti Baggio e Dunga, per gli altri quella Fiorentina e quella partita rappresentarono il punto più alto della carriera. Per me, tifoso oggi cinquantenne, l’unica finale europea vissuta. Le bandiere (forse) non esistavano più, ma in campo andavano uomini e non calciatori-attori; la grinta, la voglia, il sangue nelle vene, il carattere erano ancora importanti. Un’immagine che ancora ricordo di quell’annata fu il fallo da ultimo uomo di Faccenda in Francia, rimanemmo in dieci, ma quella pedata ci portò in finale.

Oggi comandano i calciatori e non più le società, i procuratori si sono uniti e non rappresentano più l’interesse del singolo calciatore, ma quello di grandi gruppi industriali transnazionali e trasversali alle squadre. Le pedate alla Faccenda non le vediamo più, la grinta e il cuore in campo nemmeno, oggi è tutto uno schema, è tutto uno show. L’unica cosa che non è cambiata è la fede di noi tifosi. La fede nella Fiorentina, la fede di concepire una squadra composta da calciatori che vadano oltre i soldi, la carriera e l’account instagram.

Per domani ho solo un desiderio, spero che Roberto Baggio guardi la partita e tifi per noi. 🙂

2 commenti

  1. Qualche puntualizzazione:
    ” Eravamo una squadra tutta difesa, contropiede e tanto cuore” e perdemmo 3 a 1 nonostante dopo 10 minuti Buso avesse pareggiato il gol lampo di Galia.
    “Un’immagine che ancora ricordo di quell’annata fu il fallo da ultimo uomo di Faccenda in Francia, rimanemmo in dieci, ma quella pedata ci portò in finale.” Quell’immagine di tanto in tanto ce la riguardiamo con un collega, è memorabile. Però il fallo fu memorabile perché fu fatto dopo 4 minuti e in finale ci portò come sempre la classe immensa di Baggio e il fiuto del gol di Buso, che riuscirono a portarci in vantaggi nonostante inferiorità numerica. Poi pareggiarono, ma 1 a 1 ci bastò per andare avanti.
    Per dire che il calcio si può leggere in tanti modi, ma se alla fine contano solo i risultati, allora contano solo i risultati e ha ragione Allegri.

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.